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Die Feuernacht, la notte di fuoco

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Che ipocrisia linguistica, quella del quotidiano torinese La Stampa che, nello stesso numero, chiama “ribelli” e “resistenti” i mercenari pagati dall’Arabia Saudita che in Siria massacrano, devastano chiese e usano gas nervino, dando poi la colpa ad Assad, e chiama, invece, “terroristi” i sudtirolesi della Notte dei Fuochi … I resistenti sudtirolesi non rivolsero mai la loro ira contro le persone, ma sempre e solo contro le cose che rappresentavano un potere oppressivo e straniero. Procediamo con ordine, riprendendo proprio l’articolo del quotidiano FIAT del 7 giugno scorso che, malgrado la sua tendenziosità, non può fare a meno di riconoscere alcune delle ragioni del Sudtirolo.

Era la notte tra l’11 giugno e il 12 giugno 1961, quando il Tirolo meridionale fu investito da un’ondata di attacchi a strutture dell’ENEL e a vecchi monumenti inneggianti al fascismo all’italianizzazione di quelle terre. Nel giro di poche ore saltarono per aria 37 tralicci dell’alta tensione, paralizzando l’attività industriale di gran parte dell’Italia settentrionale. Fu solo l’inizio di una lunga serie di azioni che si protrassero per tutto il decennio successivo. Non ci furono vittime, almeno sino a quando il Ministero degli Interni non ordinò una durissima reazione. I “ribelli” tirolesi non volevano che fosse versato del sangue, Roma, invece, sì. C’è un antefatto politico che merita di essere ricordato. Nel luglio del 1959 era divenuto Cancelliere della Repubblica d’Austria Bruno Kreisky, ebreo socialista, ricordato come grande uomo di pace, per le sue mediazioni tra Europa Orientale e Occidentale e tra Palestinesi e Israeliani. Kreisky avviò sin da subito trattative con il Governo italiano, ma, e qui citiamo La Stampa, «presto avrebbe toccato con mano che la diplomazia e la politica italiana non facevano avanzare d’un passo la situazione delle minoranze tedesca e ladina a Bolzano.

Le rivendicazioni della popolazione di lingua tedesca si scontravano con il muro di gomma di Roma. Le proteste di Vienna venivano respinte come “ingerenze”». Come, del resto, aggiungiamo noi, le proteste di molti altri entro i confini italiani … Roma mostrava di infischiarsene non solo degli Accordi di Parigi del 1946, che tutelavano la “minoranza” tirolese, ma anche della sua stessa Costituzione. Fu in quel contesto che assunse la guida morale del movimento di liberazione sudtirolese il “Befreiungsausschuss Südtirol”, Comitato di Liberazione del Sud Tirolo, nato nel 1956 a opera di Sepp Kerschbaumer, poi “misteriosamente” morto di infarto nel carcere di Verona, e di Georg Klotz. All’inizio del 1961 Joseph Innerhofer, uno dei suoi capi, incontrò Kreisky, che, quando gli fu esposto il progetto di minare i tralicci, non disse né sì, né no.

La resistenza tirolese, fermamente intenzionata a fermarsi all’attacco a cose materiali, intese quell’atteggiamento come un appoggio, non solo morale. Fu l’inizio di un percorso violento, in cui Roma, incattivita, reagì con le incarcerazioni facili, le strane morti di prigionieri cui si negava la qualifica di “politici”, la presenza ossessiva dei servizi segreti e gli attentati sanguinari attribuiti ai Tirolesi, il martirio di un popolo che si dimostrò fiero e compatto. Ma fu anche l’inizio della liberazione del Tirolo Meridionale, perché, senza quella notte, non si sarebbe mai arrivati alla sua autonomia amministrativa e alle leggi che la tutelano.

Giuseppe Reguzzoni

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